A partire dal primo gennaio 2018 sono entrati in vigore gli aumenti dei pedaggi previsti nel decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
I nuovi rincari aumentano in media i costi per gli utenti del 2,74% (dato calcolato sulla base delle percorrenze 2016) e interessano 24 concessionarie autostradali.
Gli aumenti, in alcuni casi sono di gran lunga superiori alla media, si tratta delle società RAV (Tratta Aosta Ovest - Morgex +52,69%), Strada dei Parchi (+12,89%) e Autostrade Meridionali (+5,98%).
Altri consistenti aumenti hanno interessato la Torino-Milano (+8,34%) e la Milano Serravalle (+13,91%).
Fonti governative giustificano gli aumenti affermando che erano previsti dalle Convenzioni Uniche stipulate dal 2007 unitamente alle Delibere Cipe.
Tali delibere avevano stabilito le formule tariffarie ed i criteri di calcolo per determinare gli aumenti dei pedaggi prendendo in considerazione i parametri legati all'inflazione, alla qualità, al recupero della produttività nonché agli investimenti.
La spesa per investimenti privati sostenuti dalle società concessionarie – prelevandoli dall’utenza – nel periodo che va da ottobre 2016 a settembre 2017, è stata pari a 755,916 milioni di euro.
Quindi cade il castello delle giustificazioni adottate.
Seppur debole ed incerta la ripresa economica c’è – e stante quanto sostenuto da autorevoli esperti d’economia – quando questa cresce di 1, il trasporto che la sostiene deve crescere almeno di 3.
Se aumentano i costi esterni per le imprese dell’autotrasporto merci come quelli dei pedaggi autostradali, di fatto si frena lo sviluppo economico.
D’altro canto, sebbene in svariati convegni si sostenga il contrario, all’autotrasporto merci non ci sono alternative immediate.
“Allo stato attuale il trasferimento delle merci dalla gomma alla rotaia risulta difficoltoso e poco praticabile, nonostante sia incentivo in alcune aree sino a €2,50/km. Costi superiori, tempi di attesa e trasferimento delle merci non sono compatibili con le richieste della committenza e del mercato che impongono consegne in tempi rapidissimi”, afferma il Presidente Confartigianato Trasporti Amedeo Genedani.
Ad esempio: se si percorrono sulla A22 da Verona verso l‘Austria 235 km servono circa 3 ore e 20 minuti con un autotreno. Ricorrendo alla ferrovia i tempi vengono raddoppiati, 4 ore sono necessarie per il trasferimento più altre due per il carico e lo scarico del veicolo dal treno.
Si tratta di tempi maggiori e conseguentemente costi più elevati che penalizzano le imprese di autotrasporto, ma soprattutto le imprese di produzione che esportano, quindi riducono la competitività di tutta l’economia italiana.
La prognosi della “cura del ferro” è stata fatta ma la terapia non è operativa. L’imponente piano da 123 miliardi di euro con cui Connettere l’Italia sembra al palo.
Dato confermato dalla stessa Corte dei Conti, che nella relazione annuale al Parlamento sui rapporti finanziari con la Unione Europea e l’utilizzo dei Fondi Comunitari, precisa: “La Sezione deve evidenziare il dato assolutamente carente per quanto riguarda le percentuali di attuazione finanziaria, pur essendo trascorsi oltre tre anni dal suo inizio. Su molti Programmi non sono ancora stati effettuati pagamenti, mentre, laddove ve ne siano, essi si attestano generalmente su cifre irrilevanti, con la specificazione che le somme spese riguardano, ad oggi, quasi esclusivamente l’assistenza tecnica. Un livello di attuazione così limitato può essere solo parzialmente spiegato con il quasi “fisiologico” ritardo nell’inizio delle attività progettuali vere e proprie, derivante dai tempi tecnici necessari all’avvio della fase progettuale e alla scelta dei progetti da realizzare; in realtà si osserva che, giunti praticamente a metà del periodo di programmazione, molti adempimenti preliminari non sono stati neppure definiti. Solo a partire dall’anno corrente (il 2016) si comincia a vedere un inizio di attuazione progettuale ma soltanto in via quasi esclusiva dal punto di vista degli impegni…….”
Si riconosce l’impegno profuso dal Governo, in questo ultimo anno, nel tentativo di fare partire le progettualità finanziabili dei Fondi comunitari, ma lo stesso Esecutivo avrebbe fatto bene a definire subito programmi e scadenze precise per il pagamento del “primo stato di avanzamento lavori” dei progetti programmati.
Proprio per l’assenza di valide alternative alla modalità stradale, l’autotrasporto italiano è fortemente contrario agli aumenti dei pedaggi autostradali poiché non possono essere assorbiti dalle imprese in mancanza di un adeguamento delle tariffe di trasporto e della certezza dei tempi di pagamento dei servizi.
“E’ necessario – conclude Genedani – che il Governo intervenga per calmierare queste stangate, altrimenti non ci si stupisca se le aziende di trasporto decideranno di abbandonare gli itinerari autostradali per percorrere la viabilità ordinaria con negative conseguenze sulla sicurezza sociale e sulla congestione delle strade provinciali”.